E Milano? “Milano ha il vantaggio di un verde diffuso, ma è sempre troppo poco! È l’unica città con un respiro europeo di trasformazione, ma tutto ciò che sto vedendo dal punto di vista urbanistico mi pare abbastanza già visto, e la quantità trasformata in termini naturali non mi sembra eccezionale. Ci sono casi che smentiscono questa tendenza, ma sono casi specifici: bisognerebbe prendere di petto la questione in maniera efficiente o, meglio, efficace”.Mancuso non è troppo milanese di frequentazione, tiene a premettere, e potendone parlare con cognizione di causa fa riferimento a Welcome Milano, il complesso di spazi per il lavoro che sta realizzando con Kengo Kuma and Associates negli ex edifici Rizzoli: “È un edificio che avrà impatto zero, e questo è fondamentale”, ci dice. “Il cemento come materiale da costruzione è ancora uno dei maggiori produttori di CO2 a causa della sua filiera, da produzione a messa in opera. Chi costruisce integralmente o a maggioranza in legno non solo sta riducendo la CO2 ma la sta stoccando: una trave di legno è un oggetto che immagazzinerà per 50-70 anni tutta la CO2 che la pianta aveva immagazzinato. L’edificio così non è soltanto neutrale in bilancio C02: è negativo. E su Milano non vedo particolare attenzione nella costruzione degli edifici da questo punto di vista: vedo ancora grattacieli completamente vetrati, chiusi, per niente al passo coi tempi, con la climatizzazione ad altissimo consumo energetico che richiedono”.Mancuso, come si è capito, non limita la sfera della sua ricerca alla teoria e alla politica, anzi, espande questo spettro all’operatività, alla progettazione, collaborando con molti architetti, tanto con progetti tecnologici come le Fabbriche dell’aria, quanto con consulenze integrate di più ampio respiro. “Mi permetto di citare Renzo Piano, di cui sono molto amico, che mi ha chiamato in molti casi, come il Grand Hopital de Paris: certo, adotterà molte Fabbriche dell’aria, ma il mio contributo ha coinvolto tutto l’aspetto di sostenibilità, degli effetti che le piante possono portare in un progetto del genere. Ormai è molta la letteratura scientifica che conferma come anche solo la visione delle piante da parte dei degenti riduca i tempi di guarigione e degenza (un fondamento dell’architettura biofilica, NdR). Le piante oggi dovrebbero far parte di qualunque processo progettuale che si voglia serio: Piano infatti ha pensato un ospedale ricoperto da piante, da un intero parco pubblico che parte dal livello del terreno e sale fino al tetto”.La domanda che sorge spontanea è se a questo punto esista anche un margine per l’attivazione individuale, sempre che possa avere un senso, per rendere più sano un ambiente urbano. E la risposta è sorprendentemente positiva: “Cose banalissime, strumenti di progettazione a livello anche familiare come ricoprire una facciata con piante rampicanti. E poi, assumere una visione più ampia rispetto a quello che intendiamo quando si parla di efficientamento energetico: ad esempio, ora in Europa dovremmo parlare di come sia proprio attraverso le piante che lo si ottiene, e la cosa non sta succedendo. In uno scenario come l’Italia, poi, il quadro si rende anche più complicato visto il grande volume di patrimonio immobiliare antico – a Firenze dove vivo, per esempio – ma va fatto un ragionamento di bilancio, pluridecennale se non plurisecolare. Prendiamo proprio un edificio fiorentino del‘500, fatto di pietra e legno: per 500 anni ha conservato, stoccato CO2. Un edificio tipico olandese o svedese, invece, abbattuto ogni 50 anni, ha un costo ambientale molto alto con questo continuo fare e disfare. Un edificio con 10 ricostruzioni in 500 anni ha un bilancio globale molto più pesante, in disaccordo con la descrizione che si tende a fare, sempre legata alla prospettiva della nuova costruzione”.Fonte: https://www.domusweb.it/it/architettura/2023/06/15/domus-intervista-stefano-mancuso.html